Psicologia

Ferite emotive: continuano a fare male anche se non si vedono.

Cosa sono le ferite emotive? Ogni giorno della nostra vita è il frutto di ciò che portiamo con noi. Anche se eliminiamo dalla nostra coscienza gli eventi che si sono già verificati, il passato sopravvive nella persona che siamo oggi e in quella che saremo domani. Ecco perché è così importante guarire le ferite emotive del passato.

Le ferite emotive sono molto simili a quelle fisiche. Se guariscono e si cicatrizzano non provocano più lo stesso dolore. D’altra parte, se non vengono trattate correttamente, daranno fastidio e possono riaprirsi o persino peggiorare.

Le ferite emotive sono esperienze dolorose dell’infanzia che influenzano la nostra personalità adulta, chi siamo e il modo in cui affrontiamo le avversità

spiega la psicologa Lisa Bourbeau. La maggior parte delle volte noi non siamo consapevoli di cosa ci blocchi in una determinata situazione, di cosa ci faccia provare paura o avere le vertigini, succede tutto a livello inconscio. Se rimaniamo, però, nell’inconsapevolezza, questa ci porta sempre più lontano da una possibile cura: più tempo aspettiamo a guarire queste ferite emotive più si faranno profonde. 

La ferita dell’abbandono

Partiamo dal principio, come abbiamo detto le ferite emotive provengono dall’infanzia. Ed è in questo periodo che il bambino, pur di mantenere il legame affettivo con i genitori, si conforma alle aspettative di questi ultimi. Ciò significa che se determinati sentimenti che prova, come la rabbia, la gelosia, la paura vengono rifiutati dall’adulto perché inaccettabili, il bambino è costretto a rimuoverli. Può viverli solo se c’è qualcuno che possa condividerli con lui.

Prendiamo ad esempio il sentimento di abbandono provato dal bambino piccolo. Il bambino può sentirsi abbandonato non solo se si trova a vivere esperienze come la morte di un genitore ma anche se, nonostante le comunicazione verbali o preverbali, non riesce a raggiungere le figure di riferimento. E ciò accade non perché i genitori fossero cattivi bensì perché essi stessi avevano carenze affettive. Quando un bambino sperimenta l’abbandono per spiegarsi l’accaduto può formarsi l’idea di non essere stato sufficientemente bravo per i genitori. Nel tentativo di trovare un “perché” con la sua logica limitata ed infantile si potrà convincere di essere indegno di amore, che è colpa sua che non è stato all’altezza dei genitori.

Il sentimento che non abbandona

Questi sentimenti, anche se non ricordati e nati in un passato lontano, rimangono custoditi nel corpo; non siamo in grado di verbalizzarli né di ricordarli tuttavia da lì riescono ad influenzare sia le relazioni con gli altri che con noi stessi. Inconsciamente continuare a pensare, una volta adulti, di non essere degni d’amore ci protegge dal rischio di esporci in una relazione e di sperimentare ancora l’abbandono o il rifiuto. Le persone con ferite simili hanno difficilmente relazioni stabili e durature; nonostante il desiderio di un rapporto sentimentale, la minaccia dell’abbandono continua a farsi sentire.

Le relazioni da adulti:

Si manifesta con la costante e incessante paura di poter perdere la persona amata e di conseguenza di rimanere privi di qualsiasi legame affettivo. Vi è la costante convinzione che la persona più cara possa lasciarli in qualsiasi momento e che passeranno la loro vita in totale solitudine. Questa convinzione si traduce nelle relazioni affettive, esasperando le manifestazioni emotive più semplici, mettendo in atto una serie di comportamenti che anziché portare all’avvicinamento della persona amata, inevitabilmente la allontanano
Sono comuni forti sbalzi di umore che non riescono a spiegarsi, senso di vuoto e tristezza.. Facilmente, per assicurarsi la vicinanza degli altri, finiscono con il compiacere le aspettative altrui, trascurando i loro reali sentimenti e necessità.

Ma cosa fare?

Il primo passo, come per tutte le cose nella vita, è accettare il fatto che le ferite sono una parte di noi, darci il permesso di arrabbiarci e, soprattutto, concederci del tempo per superarle” (Lisa Bourbeau).

Le prime emozioni, come dimostrano le neuroscienze, lasciano le loro tracce nel corpo e continuano ad influenzare il modo di agire e sentire dell’adulto, pur rimanendo nascoste al pensiero logico e consapevole. Creare un ponte tra queste memorie emotive ed il pensiero cosciente è possibile all’interno di uno spazio di terapia, in cui superare i blocchi e permettere alle ferite di rimarginarsi.



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