Essere genitori

Cosa ci dicono i nostri bambini quando piangono

Quante volte da adulti tendiamo a spazientirci per i capricci e i comportamenti dei nostri piccoli? Fin dalla loro primissima infanzia assistiamo inermi ai loro pianti che spesso ci appaiono incomprensibili.

Il pianto, in genere, è considerato qualcosa di esclusivamente negativo che spinge i genitori a sentirsi responsabili della presunta sofferenza del bambino; per questo motivo non appena sentiamo un neonato piangere ci attiviamo immediatamente per tranquillizzarlo, senza domandarci quale possa essere la ragione. Cosa significa il pianto del neonato? 

“Il pianto, come il sorriso ed il vocalizzare, è uno dei comportamenti di attaccamento di cui il bambino è provvisto sin dalla nascita”.

John Bowlby- Una base sicura

Gli consente, attivando la risposta del genitore, di mantenere la vicinanza con lui, al fine di soddisfare i propri bisogni e di creare un legame di attaccamento.  Attraverso il pianto e il linguaggio non verbale (i gesti, le espressioni del viso, le posture) il bambino comunica con mamma e papà. Per questo comprendere il motivo del pianto è fondamentale per soddisfare i suoi bisogni.

Facciamo un piccolo esempio:
Prendiamo una bambina di circa 6 mesi. Nella sua stanzetta, un pomeriggio, viene accolta un’amica di famiglia che, appena entrata, appoggia il suo ombrello sopra il tavolo.  La piccola inizia ad agitarsi e a piangere senza un motivo effettivo, non è la signora a spaventarla, piuttosto sembra fissare l’ombrello e continuare nel suo pianto. La signora pensa che sia il desiderio della bambina di volere l’ombrello a farla piangere e così glielo avvicina, sorridendole e parlandole dolcemente. La piccola, però, continua a gridare nonostante i vari tentativi degli adulti che sembrano agitarla sempre più.
Ad un certo punto la mamma della piccola prende l’ombrello e dal tavolo lo sposta nel portaombrelli e la piccola immediatamente si calma (Montessori- Il segreto dell’infanzia)

In tal caso il pianto non rappresenta un capriccio, bensì l’irritazione provocata dall’oggetto fuori posto. I bambini si costruiscono una propria rappresentazione dell’ambiente che li fa sentire al sicuro nel proprio spazio, l’oggetto estraneo perturba questo ordine e sollecita il pianto. 
Il senso di ordine del bambino non coincide con quello dell’adulto. Ciò accade anche anche a noi quando i nostri oggetti cari vengono spostati senza preavviso e non riusciamo più a trovarli nel loro posto.

Ma come riuscire ad interpretare il pianto del bambino?
La risposta non si trova nei libri né nei suggerimenti degli altri, bisogna affidarsi invece al proprio istinto genitoriale, perché la natura, se ascoltata, sa esattamente svolgere il suo corso. Fermarsi un momento ed osservare il piccolo è importante, dobbiamo domandarci cosa stia cercando di comunicarci, osservarne i gesti, il tono del pianto e le espressioni. Ciò richiede pazienza, il suo pianto potrebbe esprimere, oltre che il senso di fame, il bisogno di sentire fisicamente la nostra presenza, la necessità di cambiare una posizione ormai scomoda, la presenza di troppi stimoli nell’ambiente che lo sovraeccitano, oppure semplicemente la stanchezza.
Ogni genitore desidera capire cosa accada nel bambino. 
In genere dovrebbe essere un riflesso spontaneo; così’ una mamma in modo naturale riesce ad identificarsi con il proprio neonato e far fronte ai suoi bisogni.
La mamma, infatti, nelle ultime settimane dopo il parto e nelle prime dopo la gravidanza, entra in uno stato psicologico particolare che si potrebbe definire di completa concentrazione sul neonato (Preoccupazione Materna Primaria- D.W. Winicott). Questa naturale capacità non viene appresa ma ci deriva dalla nostra stessa infanzia; se siamo stati dei neonati e bambini ascoltati e compresi allora riusciremo ad essere genitori simili.

“Le risposte dell’adulto dipendono, in gran parte, dal trattamento che egli stesso ha ricevuto durante l’infanzia, ovvero dall’interpretazione che i suoi genitori hanno dato, a loro volta, dei suoi sentimenti e del suo comportamento” 
Come Daniel N. Stern

Attenzione però! Commettere degli errori e non riuscire a capire sempre cosa ci comunichino i nostri piccoli è assolutamente normale.
Quando sentiamo che la rabbia, l’ansia e la paura prendono il sopravvento e ci impediscono di essere i genitori che vorremmo bisogna fermarsi e porsi alcune domande. 

Purtroppo alcuni eventi negativi familiari (divorzi, separazioni) e socio culturali (ad esempio guerre, crisi economiche ecc..) possono ostacolare le capacità affettive del genitore e l’attenzione rivolta ai bisogni dei figli e quindi anche alla comprensione delle loro necessità, espresse o meno.
Non esistono colpe ma esiste la possibilità di interrompere questi meccanismi, basta trovare lo spazio giusto in cui farlo.

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